sabato 7 agosto 2010

Ricominciamo da qui

giovedì 5 agosto 2010

Da L'Espresso... Tremate gente!


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Terzo polo

E Casini fa il restyling

di Tommaso Cerno

Visto che attorno tutto sta crollando, Pierferdy rovescia il suo partito, gli cambia nome e simbolo, apre agli under 40. Puntando a radicarsi sul territorio con i 'Circoli della nazione'

(02 agosto 2010)
Puff. Potrebbe sparire. Per la prima volta nella storia repubblicana lo Scudo crociato rischia di non comparire sulla scheda elettorale. Se fino a pochi mesi fa si combattevano battaglie giudiziarie pur di accaparrarselo, il simbolo della Democrazia cristiana sembra esaurire il suo appeal al centro. Tanto che dovrà fare i conti con colui che finora è stato il suo custode più devoto: Pier Ferdinando Casini. Già, perché l'Udc è in fase di restyling estivo. A caccia di un modello nazional-popolare capace di ridare voti a un partito indietro nei sondaggi rispetto al suo leader. Soprattutto se, vista la resa dei conti nel Pdl tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, arriveranno ben prima del 2013. La fase 1 è cominciata. Una mini-rivoluzione che, prima del Partito della Nazione, se mai ci si arriverà, farà nascere i Circoli. Qualcosa di simile ai fan club del Cavaliere capeggiati da Michela Vittoria Brambilla, buoni cioè per pescare nella società civile e sparigliare i giochi interni a un movimento che rischia di contare più iscritti che elettori.

La svolta sta in un dossier interno che circola riservatamente. E in un logo (ancora in prova) dove compare, o meglio scompare, la vera novità: un arcobaleno tricolore sostituisce il vecchio scudo bianco e rosso. Un'eresia, secondo gli ex dc, una scommessa per i fedelissimi di Casini che dopo due anni di traversata solitaria al centro fra gli affondi di Berlusconi e Bossi e le avance a intermittenza del Pd, vogliono pesare di più. E sondare che mai succederebbe se al congresso di fine anno la vecchia Udc chiudesse i battenti per rinascere con un volto liftato. Se ci riusciranno è presto per dirlo. Ma certo a via dei Due Macelli tira aria di terremoti.

I supporter del progetto hanno la bocca cucita. Ripetono che "sarà molto più di un correntone targato Casini". E che un'accelerazione c'è stata, al punto che il leader dell'Udc ha accennato alla rivoluzione copernicana già la scorsa settimana a Jesolo durante una convention a porte chiuse con i giovanissimi del partito: "C'è bisogno di sburocratizzarci, di avvicinare la gente alla politica attraverso mezzi non tradizionali", ha detto Casini dal palco. "Un messaggio all'elettorato che oggi lo apprezza, ma che non si ritrova in sintonia con un Dna nostalgico della Dc", sussurra un deputato. Ma altrettanto chiaro è il messaggio rivolto "a quelli come Fini e Montezemolo per ricordare loro che, se un Terzo polo mai ci sarà, la primogenitura spetterà a noi".

L'idea è nata tutta in famiglia. Durante una cenetta fra il quasi suocero Pier Ferdinando e il quasi genero Fabrizio Anzolini, fidanzato di Maria Carolina, figlia del leader Udc e già designato responsabile dei Circoli a Nord-est. Uno che sta defilato, ripete di non essere la "trota scudocrociata" ma che, assieme ai deputati targati Casini, ha già consegnato un dossier al capo. Dentro c'è tutto: dettagli, slogan, simboli, struttura, nomenklatura e campagna di lancio dei "Casini boys". La parola d'ordine è "svecchiare". Dare spazio all'area innovatrice che tra i parlamentari fa riferimento al portavoce Roberto Rao, al veneto Antonio De Poli, all'emiliano Mauro Libè o ancora ai siciliani Gianpiero D'Alia e Saverio Romano. Un'idea che tra gli attuali dirigenti interessa Michele Vietti, Ferdinando Adornato e il segretario Lorenzo Cesa.

Parole impietose, invece, per le vecchie glorie trattate come tromboni da pensionare. "Se l'operazione verrà ricondotta a Buttiglione, De Mita e Pezzotta, senza nulla togliere al loro alto profilo politico, sarà un buco nell'acqua", avverte infatti il dossier interno, e meno male che il profilo resta alto. Se invece uscirà il messaggio che "Casini scende in campo per un nuovo partito", beh, allora si marcherà la differenza pure "con il Pdl degli Scajola, dei Verdini e dei Dell'Utri".

Il lancio è fissato per l'autunno. Si progettano manifesti, spot e pure un numero verde per chi vorrà fondare un Circolo dietro casa. A Roma resterà il gotha guidato da Casini e da un coordinatore under 40 "direttamente riconducibile al presidente". Con una prima missione davvero dura: invadere la Padania leghista.

sabato 20 febbraio 2010

IL BLOG

Ho notato con piacere-dispiacere che questo blog sia l' ultimo mezzo di comunicazione rimasto ai vecchi giovani dello scudocrociato.
Purtroppo in rete non esiste un vero e proprio punto d'incontro(come c'era una volta il vecchio sito dei giovani udc) i ragazzi che si occupano di coordinare a livello nazionale dai tempi di Barbuto non hanno fatto ancora niente per rimediare a questa grande lacuna.
Ragazzi sono contento che ci sia ancora questo blog continuiamo cosi cerchiamo di pubblicizzarlo nel migliore modo possibile, perché può diventare uno strumento molto importante per tutti i giovani che amano parlare di politica.

venerdì 8 gennaio 2010

Se nell'UDC la “rettorica dei valori” copre un’operazione che è tutta politicista

di Marco Margrita

Cari amici UDC ma che differenza ci trovate tra una Bonino ed una Bresso?

Parto da uno spunto che Maurizio ha lasciato sulla mia bacheca di FB: "Cari ex amici UDC ma che differenza ci trovate tra una Bonino ed una Bresso?".
La questione è rilevante. In generale. Ed ancor più per un blog come il nostro, che ha provato spesso (per qualcuno anche troppo) ad interrogarsi sul ruolo dei cattolici in politica, specie in questa fase delicata della vita nazionale.
L’Unione di Centro (notare la bismarkiana eliminazione di ogni riferimento all’ispirazione cristiana/democristiana) sembra ormai essersi votata all’unica missione di disarticolare questo bipolarismo.
Detto per inciso, la politica urlata e di contrapposizione prodotta dalla “partitocrazia senza partiti” in cui paiamo essere rinchiusi anche a me piace per nulla.
La mitizzazione del centro ha consentito, anche per la disinvolta e per nulla organica sommatoria qui di potere clienterale e là di schietta militanza cattolica, altrove di vaghi moralismi clericali e più in generale con una certa accondiscendenza a moderatismi elitari e massoneggianti, al “partito” di Pier Casini di mantenere una quota di consensi utile a condizionare, specie in elezioni come le regionali, i grandi partiti. L’anarchia valoriale di un Cav. non capace di ancorarsi, se non in una declinazione banalmente conservatrice, al popolarismo europeo e l’irrilevanza dei cattolici-democratici nel PD hanno fatto il resto.
La “rettorica dei valori” copre un’operazione che è tutta politicista. In un progetto cui, non a caso, ha trovato casa il tecnocratico Ciriaco De Mita.
Ricordo, in tempi in cui ho speso più di qualche energia all’interno dello Scudocrociato secondarepubblichino, una formula cara a Michele Vietti: “dobbiamo essere il Partito Repubblicano della Seconda Repubblica”. Forse non bisognerebbe aggiungere altro; la formula dice molto del disprezzo per la dimensione popolare della politica che Bersani e Berlusconi paiono, pur tra mille contraddizioni, voler difendere.
La Bresso e la Bonino esprimono posizioni assai simili (un esempio su tutti il caso Englaro), condividono una visione radicale e relativista. Sono, in altri cambi, penso alla modernizzazione economica, anche capaci di spunti interessanti, ma davvero non paiono proprio, né l’una né l’altra, le compagne ideali per un lavoro politico che si voglia fare, laidamente certo, “da cristiani”.
Allora, dove sta la differenza? Nella funzionalità al disegno politicista di disgregazione del pilolarismo, in una conversione al leninismo (è vero e buono ciò che serve al nostro disegno) che l’Udc ha ormai fatto propria. Una conversione che temiamo non possa che portare ad una prodizzazione del Pierfurby (o per richiamare uno slogan coniato in un altro post: “Vietti come Castagnetti”).
Non cederò all’anticomunismo moralista ed antidiscotecaro di Giovanardi, ma nemmeno all’asservimento al feticcio del Centro come ideologia. I cattolici debbono certo essere protagonisti di una “uscita intelligente dal berlusconismo” ma non cedendo al ruolo di utili idioti (fa un po’ mosca cocchiera dire, come fanno molti leader Udc piemontesi, dire che “non siamo andati noi a sinistra, è la sinistra che è andata al centro”) dell’Ircocervo PD.
La differenza tra Bresso e la Bonino non c’è. Per quanto i salti di gioia a votare il leghista Roberto Cota non è che li faccio. Ed anche il PdL dovrebbe essere più popolare e meno moderato.

mercoledì 23 dicembre 2009

Il regicidio mancato e il dialogo necessario

Albert Camus ha dedicato alcune delle pagine più belle e significative del suo “L’Uomo in rivolta” al regicidio, la più alta forma di attacco alla Monarchia. Uccidendo il Re si uccide il suo Regno, si attacca, quindi, direttamente il fulcro emanatore del suo potere. Camus prende a modello il regicidio più famoso della storia, quello perpetrato ai danni di Luigi XVI, ultimo re della Francia assolutistica e totalitaria. Il filosofo francese spiega con grande semplicità che “non sempre il regicidio diventa sinonimo di libertà”. A volte, infatti, potrebbe semplicemente essere un modo di sostituire un re scomodo, non amato dai sudditi. Di intrighi del genere ce ne sono stati tanti nel mondo antico. Chi non ricorda le congiure di palazzo a Roma durante i fastosi banchetti imperiali? Ciò nonostante quando un imperatore veniva assassinato, veniva immediatamente nominato il suo successore: a nessuno sarebbe mai venuto in mente di ucciderlo per mettere la parola fine al potere imperiale. E così è stato a lungo nella storia, fino a quando sul patibolo non salì Luigi XVI. “Vive la République!” fu il grido che pervase le strade di una Parigi in festa: dopo di lui i francesi non vorranno più nessun altro re. Prima di lui già Oliver Crowmell se ne era servito in Inghilterra per eliminare lo sconfitto Carlo I e sostituire alla monarchia un governo repubblicano. Ma oggi, dicembre 2009, un regicidio è ancora pensabile? È ancora ipotizzabile colpire il massimo esponente di un sistema democratico? Di sicuro è possibile farlo. Abbiamo visto tutti cosa sia successo al Presidente del Consiglio due domeniche fa a Milano: una riproduzione in gesso e metallo del Duomo di Milano lo ha colpito in pieno, causandogli la frattura di due denti e del setto nasale. Le immagini di quegli istanti ci sono state riproposte centinaia di volte in televisione, accompagnate ogni volta da commenti di autorevoli personaggi, pronti a condannare questo atto di violenza inaudito e ingiustificabile. Più o meno, dicevano tutti la stessa cosa, finché un intellettuale di grande valore come Giuliano Ferrara, direttore de “Il Foglio”, si è chiesto: “e se fosse regicidio?”. Ammettiamo pure che lo fosse (in fondo Berlusconi è pur sempre il nostro presidente del consiglio e resta il leader assoluto del più grande partito politico italiano) resta da definire l’identità di questo regicidio e il suo obiettivo finale: lo psicolabile Tartaglia voleva colpire lo Stato, rappresentato in quel momento dal premier, o il Berlusconi uomo? La risposta è scontata: il colpo era indirizzato all’uomo, non all’istituzione. È bastato un attimo, un solo attimo e il Principe Silvio si è trasfigurato in una maschera di sangue, il suo corpo si è fatto pesante ed è crollato a terra e il suo sguardo è diventato assente. Sembrava davvero la fine più cruenta e terribile del quindicennio berlusconiano. E invece è andata bene: Berlusconi si è rialzato ed è stato prontamente ricoverato, al sicuro da ogni altro rischio. Prima di lui solo Mussolini ci era andato così vicino. La mattina del 7 aprile 1926, infatti, venne ferito da una donna inglese, Violet Gibson, che gli sparò da distanza ravvicinata, ferendolo lievemente al naso. Il giorno dopo, Mussolini, appena medicato prima di recarsi in Libia, commentò: «Le pallottole passano e Mussolini resta». Ma già Niccolò Machiavelli nel suo De Principatibus metteva in guardia il Principe dal male che i suoi sudditi avrebbero potuto tramare nei suoi confronti e per questo lo invitava a essere “furbo come la volpe e forte come il lione”: il Principe deve “antivedere” ogni possibile “disastro” e cercare ogni mezzo per neutralizzarne i danni. Non so quanto il nostro Principe sia stato in grado di farlo: di sicuro non lo è stata la sua scorta, che lo ha ripetutamente esposto a rischi sempre maggiori nei minuti dopo il lancio della statuetta. Karl Marx nell'incipit de Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte scrive: “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”. Se è davvero così, la trasfigurazione sanguinolenta del premier rappresenterebbe il primo segno del suo declino e ciò rischia solo di infervorare il già teso clima politico ancor di più. Gli estremisti non mancano, in nessuno dei due poli. Si presentano solo in forma diversa: a sinistra giustizialisti e forcaioli, a destra reazionari e “proscrizionisti”. E in questo modo il dialogo necessario tra i due poli viene meno e viene soffocato dal protagonismo di qualche aspirante leaderino. I risultati di questa politica dello scontro e del sangue sono sotto gli occhi di tutti: il tentato regicidio ai danni di Berlusconi ne è la prova più evidente. Oggi serve necessariamente il dialogo e tutti noi abbiamo il dovere morale e politico di favorirlo con ogni mezzo a nostra disposizione. Anche a costo di scontrarci con i pregiudizi dell’opinione pubblica. Oggi servono coraggio, riflessione e buona volontà. Li troveremo?


domenica 13 dicembre 2009

Solo fantapolitica, vero?

[...] In Sicilia il presidente Lombardo ha avviato un percorso politico interessante, a cui, da tempo, avevo invitato a guardare con attenzione. Ora nel Gruppo Misto sono in stretto contatto con gli otto parlamentari dell’Mpa. Sono convinto che, prima o poi, si consumerà la rottura con Berlusconi e dalla Sicilia uscirà un assetto diverso, con il quale i dirigenti dell’Udc siciliana (verso i quali spesso mi sono trovato in dissenso) dovranno fare duramente i conti [...].
Bruno Tabacci sul suo blog
Qualche tempo fa avevo scritto un post in cui raccontavo degli avvicinamenti tattici che Rutelli (dietro consiglio e spinta di Tabacci) sta avendo con il Mpa di Lombardo e il Pdl Sicilia di Micciché. Solo fandonie, futuristica fantapolitica mi si disse. E invece gli avvenimenti degli ultimi giorni sembrano dare ragione alla mia tesi. Se le cose andranno come devono andare, presto a Sala D'Ercole verrà presentato il Lombardo Ter, frutto della snaturata alleanza tra l'attuale governatore, il sottosegretario al CIPE di Micchichè e il Pd siciliano. Ma si potrebbe aggiungere anche un quarto attore: l'Alleanza per l'Italia di Rutelli che, dopo aver registrato l'adesione di Mario Bonomo, sarebbe sul punto di ingigantire il proprio gruppo con l'adesione di altri 10 parlamentari delusi, provenienti dal Pd, dal Pdl e qualcuno addirittura dall'Udc. Ma il vero obiettivo rutelliano sarebbe un altro: offrire ai due fustigatori del centrodestra l'adesione al suo nuovo partito, in cambio di alcune importanti garanzie a livello nazionale. In questo modo, Lombardo e Miccichè potrebbero essere garantiti e avrebbero una posizione di rilievo nelle trattative al momento della futura fusione con l'Udc siciliano. In fondo un governo che da una base di centrodestra (31 deputati) con l'appoggio esterno del centrosinistra del Pd (29 deputati) rischia di apparire come un autogol eccessivo. La musica suonerebbe diversamente se i 31 deputati si dichiarassero appartenenti a un movimento centrista che mira a costruire un'alternativa a Berlusconi partendo dalla Sicilia, da sempre laboratorio politico di grandi novità. Anche perché questa potrebbe veramente essere l'anteprima di Kadima in salsa italiana: non dobbiamo dimenticarci che all'interno del Pdl Sicilia ci sono numerosi finiani... A confronto il Milazzismo sembra una favoletta per bambini.

La Destra oltre il Centro

Beppe Severgnini oggi dalle colonne di Sette definisce “improponibile” il progetto di una Destra delle regole, perché in Italia se si vuole essere de destra lo si deve essere alla maniera della Lega: muscolosi, battaglieri e intransigenti. E non moderati, aperti, riflessivi. Quindi Fini farebbe meglio a rivedere la sua posizione e a dare un assetto definitivo al proprio riposizionamento politico: perché dopo la sua svolta a “sinistra” (se così la si vuole definire) l'area del Pdl non è proprio più casa sua. Dura risposta da parte di Filippo Rossi che nel suo corsivo quotidiano su FareFuturo invita il giornalista del Corsera a indirizzare il proprio “pessimismo” altrove: “l'Italia merita di cambiare e diventare un paese normale”. Rossi cita anche lo storico Giovanni Tassani e immagina una destra “libertaria e non autoritaria, riformista e non conservatrice, democratica, non populista, non gerarchica, non totalitaria, non antimoderna, non patriottarda, non razzista e non classista”. Un bell’affresco, non c’è che dire. Ma non vi pare che questa Destra assuma dei caratteri che l’avvicinano di più a un’idea centrista della politica? Qualche tempo fa proprio sul Secolo d'Italia, Agostino Carrino, scrivevache se i grandi partiti vogliono tornare a vincere devono essere in grado di recuperare voti al Centro. Non quello partitico, però, ma quello ideale, punto di sintesi costruttiva tra le idee conservatrice e quelle progressiste: un elettore di Centro moderno è definibile come un “progressive conservative”, un conservatore progressista. Basta dare un’occhiata al panorama politico mondiale: in Europa tutte le Destre sono tornate a vincere solo dopo aver virato con decisione al Centro, in modo da poter competere in modo più diretto con i partiti riformisti e socialdemocratici. Già il grande filosofo cattolico Augusto Del Noce distingueva due modi di fare Centro: da una parte, il compromesso, la prassi che prende il posto dei principi e degli ideali, un partito senza filosofia e senza religione come punto d’incontro neutro generato dall’affievolirsi di due spiriti. Una aggregazione senza grandi passioni che promette un benessere tranquillo e persuade al sonno e che vive prevalentemente sull’inadeguatezza degli altri partiti. Insomma, la “palude” della Rivoluzione Francese. Dall’altra, il “Centro” inteso come luogo della restaurazione dei principi che non punta alla dissociazione di teoria e pratica, bensì all’apertura del nuovo orizzonte dell’eternità dei valori della persona per un nuovo umanesimo politico; che diventa nella visione di Del Noce addirittura unafedeltà creatrice. Certo, il Centro finiano sarebbe diverso da quello incarnato dall’Udc: sarebbe più laico, più liberale, più progressista. Ma sarebbe un’agente destinato ad interloquire con il progetto da noi portato avanti e diventerebbe parte integrante del sogno di una Kadima italiana. Anch’io, come molti, specie tra gli elettori cattolici, ho dei seri dubbi su come si possano far convivere le divergenze in materia etica: ma se oggi vogliamo costruire un partito nuovo davvero dobbiamo essere disposti a superare le differenze e a valorizzare le nostre visioni comuni. Ilcentrismo di oggi dunque si presenta in tempi e modalità diverse da quello che abbiamo conosciuto finora, ma ha una continuità di ispirazione ideale che fa sì che la componente storica del popolarismo e del cattolicesimo democratico possa confluire una prospettiva più ampia: parlare oggi, dunque, di centrismo significa confrontarsi con le grandi novità dell’integrazione europea, della globalizzazione e di una sintesi possibile tra economia sociale e mercato mondiale liberale. Servono molti passi in avanti per giungere a questo punto. Sia Fini che Casini ne hanno compiuti già una buona parte: con l’apporto di Rutelli e di esponenti della società civile come Montezemolo, forse si può riuscire a creare qualcosa che paradossalmente riesca ad andare addirittura oltre il “Centro” stesso, superando definitivamente le terribili e intoccabili categorie politiche del Novecento, come ha auspicato lo stesso presidente Casini in un’intervista sul Messaggero. Un passo del genere riuscirebbe a superare anche il malconcio e fallimentare bipolarismo bloccato e potrebbe donare all’Italia un partito di governo forte, duraturo, europeo, moderno. Il futuro del nostro Paese passa per una Destra capace di convergere al Centro. Non ci resta che aspettare.